You are using an outdated browser. Please upgrade your browser to improve your experience.
Article | 20 February 2023 | Italiano
Seamus Lyons, CFA
Senior Investment Manager, Architas
Il dollaro USA è sostenuto dall’azione aggressiva della Fed e dalla guerra in Europa...
Dopo un’iniziale sottovalutazione, la Federal Reserve (Fed) è stata più rapida di molte altre grandi banche centrali nel contrastare l’impennata dell’inflazione. Il 2022 è stato marcato da uno dei cicli di rialzo dei tassi più aggressivi mai registrati dalla banca centrale statunitense. Altre banche centrali hanno adottato un approccio molto meno aggressivo. La Banca Centrale Europea (BCE), ad esempio, ha iniziato ad aumentare i propri tassi solo a luglio, circa quattro mesi dopo la Fed, mentre la Banca del Giappone (BOJ) ha continuato a mantenere i tassi sotto lo zero. Questi fattori, insieme al desiderio di detenere asset percepiti come bene rifugio, hanno spinto il dollaro USA ai massimi pluridecennali nella seconda metà del 2022.
Tuttavia, i fattori che sostengono la forza del dollaro USA iniziano a mostrare le prime crepe. Nei prossimi mesi, il differenziale tra i tassi d’interesse negli Stati Uniti e nel resto del mondo è probabilmente destinato a ridursi. L’inflazione statunitense è calata in misura notevole dall’estate scorsa, scendendo da un picco del 9,1% a giugno 2022, al 6,4% di gennaio 2023. Di conseguenza, la Fed ha ridotto il ritmo dei rialzi e si sta avvicinando forse al suo tasso finale. La BCE ha mantenuto invece una posizione aggressiva e prevede ulteriori e cospicui rialzi dei tassi, mentre il cambio del governatore della BOJ potrebbe segnare la fine dei tassi negativi in Giappone.
I tassi di crescita economica divergenti tra gli Stati Uniti e le altre economie favoriscono peraltro la forza relativa delle valute non statunitensi. La curva dei rendimenti degli Stati Uniti (la differenza tra i rendimenti dei Treasury USA a due e a dieci anni) mostra oggi il maggior grado di inversione dagli anni Ottanta. Questo fenomeno, che suggerisce un brusco calo dei tassi d’interesse in futuro, è stato storicamente un forte segnale precursore di una recessione negli Stati Uniti. Nel frattempo, in Europa, i timori di recessione si stanno attenuando grazie al calo dei prezzi del gas naturale e ai progressi compiuti dal continente nella ricerca di fornitori di energia alternativi, attenuando la dipendenza dall’energia russa. Altrove, la svolta a sorpresa della Cina sulla politica zero-Covid dovrebbe avere effetti favorevoli sull’economia globale, in particolare per l’Asia e per gli esportatori di materie prime dei mercati emergenti.
Poiché molte materie prime sono quotate in dollari, la debolezza della valuta statunitense potrebbe esercitare ulteriori pressioni al ribasso sull’inflazione, che si prevede già in calo a causa degli elevati effetti base nel 2022. Le economie emergenti trarranno probabilmente beneficio da questa tendenza, in quanto un dollaro più debole ridurrà l’onere del debito dei Paesi che dipendono in larga misura dalle obbligazioni in valuta forte per il proprio fabbisogno finanziario. Inoltre, vari mercati emergenti si trovano in una posizione privilegiata per beneficiare della riapertura dell’economia cinese, con un conseguente miglioramento delle prospettive per le loro valute. Infine, se da un lato l’indebolimento del dollaro può pesare sui rendimenti generati dalle società statunitensi, dall’altro è probabile che favorisca i margini delle aziende USA con ingenti ricavi provenienti dall’estero.
Il nostro punto di vista
Un dollaro più debole ha storicamente esercitato un effetto favorevole per l’economia globale e non sorprende che la sua debolezza degli ultimi mesi abbia coinciso con una fase di vigore dei mercati finanziari mondiali. L’inflazione statunitense potrebbe aver raggiunto il culmine e quindi la Fed sembra essere nelle ultime fasi del suo ciclo di rialzo dei tassi. Ciò sosterrà il miglioramento del contesto commerciale globale, anche se è opportuno notare che l’assenza di una forte spinta del dollaro potrebbe pesare sulle proiezioni degli utili a lungo termine dell’indice S&P 500.